venerdì 28 settembre 2007

"Perseverare..."

di Luca Galvanini
Nonostante le polemiche sui costi spropositati della politica, le spese della Camera dei Deputati continuano a lievitare. Di seguito i dati riportati dal Corriere della Sera in un articolo di Stella e Rizzo, autori del libro "La casta". Sotto, la lettera dell'On. Gabriele Albonetti, questore della Camera in quota Ulivo, che risponde ai due giornalisti promettendo un taglio reale delle spese. Colpisce il fatto che l'On. Albonetti non voglia occuparsi della riduzione del numero dei parlamentari pur riconoscendo che tra le proposte per ridurre i costi della politica le più rilevanti saranno proprio riforme legislative e costituzionali.
L'idea di ridurre il numero dei nostri rappresentanti, infatti, era già stata avanzata dal centro-destra che intendeva portare gli onorevoli da 950 a 773 e, qualche anno prima, dal centro-sinistra con il disegno di legge costiutuzionale n. 2320 dell'11 giugno 2003, il quale prevedeva una riduzione, addirittura maggiore, che avrebbe portato a 400 i deputati e 200 i senatori. Entrambe sono state bocciate e l'Italia è rimasta una delle democrazie con il maggior numero di deputati e senatori, ben 945 cui vanno aggiunti i senatori a vita.

I costi della politica salgono ancora. La Casta promette e non mantiene. Cosa deve accadere, perché capiscano? Devono esplodere il Vesuvio, fallire l'Alitalia, rinsecchirsi il Po, crollare la Borsa, chiudere gli Uffizi, dichiarare bancarotta la Ferrari? Ecco la domanda che si stanno facendo molti cittadini italiani. Stupefatti dalla reazione di una «casta» che, nel pieno di polemiche roventi intorno a quanto la politica costa e quanto restituisce, pare ispirarsi a un antico adagio siciliano: «Calati juncu ca passa a china», abbassati giunco, finché passa la piena. (Leggi l'articolo completo cliccando qui)

"Costi Camera? Scenderanno nel 2008" Carissimi Rizzo e Stella, ci sono molte cose da cambiare nella vita delle istituzioni parlamentari e molte voci di spesa che è possibile progressivamente contenere e ridurre. Molte di queste, le più importanti, abbisognano di riforme legislative e costituzionali, altre sono possibili in via amministrativa e regolamentare, a legislazione e Costituzione vigente. (Leggi l'articolo completo cliccando qui)

sabato 22 settembre 2007

La Regione che sogniamo

di Fabrizio Anzolini
Per molti il Friuli – Venezia Giulia non è che una regione di confine, l’ultimo lembo di terra italiana prima dell’Austria, della Slovenia, della Croazia. Per altri, invece, il Friuli – Venezia Giulia è la terra del prosciutto di San Daniele e dei coltelli di Maniago, la terra delle Alpi Carniche e delle spiagge sull’Adriatico, la terra delle fabbriche di Manzano e dei cantieri di Monfalcone, la terra delle grappe e, perché no, anche la terra del caffè di Trieste.
Per noi, invece, il Friuli – Venezia Giulia è la terra dove viviamo, la terra dove siamo nati, la terra che amiamo. Da questa Regione vengono i nostri nonni e i nostri padri, qui hanno deciso di trasferirsi i nostri genitori, qui cresceremo i nostri figli. Per questi motivi, per questo attaccamento, ci sta a cuore il futuro della nostra Regione, ci interessiamo e vogliamo contribuire al dibattito sulle scelte che verranno fatte.
La nostra terra sta attraversando una fase di repentini cambiamenti in tutti i campi, dall’economia alla composizione demografica. A partire dagli anni ’90 le nostre fabbriche e le nostre industrie hanno passato un periodo di crisi e difficoltà. Un periodo che ha lasciato segni indelebili tra tutti i piccoli imprenditori che hanno intrapreso una strada e non sono riusciti a portarla a termine, tra tutti i grandi industriali costretti ad adeguarsi al mercato globale e ad aprire stabilimenti all’estero.
La Regione che sogniamo è una Regione in grado di venire incontro alle esigenze di questi piccoli imprenditori, una Regione che si batte per una fiscalità di vantaggio” in grado di renderci competitivi con tutti i paesi confinanti. In Austria la tassazione che colpisce le imprese è molto più bassa e in Croazia ci sono molte facilitazioni burocratiche per chi vuole investire. Con l’entrata della Slovenia in Europa, inoltre, molto presto saranno stanziati contributi a fondo perso che potranno arrivare fino al 50% dell’investimento fatto oltreconfine.
Con queste realtà dovremo fare i conti, a questa realtà dobbiamo preparare la nostra piccola e media impresa. Per questi motivi è necessario ridurre, il prima possibile e il più possibile, l’imposizione fiscale sulle imprese della nostra terra. La Regione che sogniamo dovrà fare i conti con la burocrazia. In un momento come quello che stiamo attraversando, in un periodo in cui i cittadini sono sempre più lontani dalla politica che impone tasse ma non si priva dei suoi privilegi, da una politica sempre più distante dai reali bisogni della gente, il Friuli – Venezia Giulia del futuro saprà agevolare le fusioni fra i comuni più piccoli cercando di renderli più efficienti e dimezzando, così, le cariche elettive e i loro costi. Gli assessori regionali da 10 passeranno ad 8 e i consiglieri regionali si diminuiranno gli stipendi almeno del 10% accordandosi per mettere un limite ai loro mandati, per evitare che la stessa persona ricopra la stessa carica per più di dieci anni e per agevolare il ricambio generazionale anche in politica.
Ma la Regione che vogliamo non è fatta solo di industrie e burocrazia. La Regione in cui viviamo è composta , in gran parte, da tutte quelle persone che si alzano alle cinque, alle sei o alle sette di mattina per andare a lavorare. Anche a loro, soprattutto a loro, speriamo pensi la futura classe dirigente. A chi non può permettersi le rette dell’asilo nido per i figli; a chi è costretto ad andare a lavorare sempre in ritardo perché la nostra rete ferroviaria raggiunge gli standard europei solo per i prezzi dei biglietti; a chi non riesce a raggiungere il posto di lavoro in macchina perché parcheggiare la propria auto è sempre più costoso.
La Regione che sogniamo è una Regione che si concentra sulle grandi strategie ma che è conscia di non poter permettersi di allontanarsi dai suoi cittadini, dal vero motore della sua macchina lavorativa. La Regione che vogliamo dovrà elevare al centro della sua azione il cittadino medio, quello di cui abbiamo appena parlato, quello che solitamente è il più ligio a pagare le tasse, quello per cui un treno puntuale, un parcheggio gratuito per andare a lavorare, un autostrada più sicura e più veloce, non sono poca cosa.
Il Friuli – Venezia Giulia di domani penserà diversamente ai suoi giovani. Amplierà la necessità di una rappresentanza giovanile a livello istituzionale ma si concentrerà di più sulle esigenze concrete dei giovani. Organizzerà momenti d’incontro tra le sue aziende e i suoi ragazzi per facilitare chi è alla ricerca di un impiego, realizzerà politiche per la famiglia in grado di aiutare più concretamente le famiglie giovani, cercherà di agevolare in ogni modo i ragazzi alla ricerca di una propria autonomia.
La Regione che sogniamo avrà ancora più a cuore il turismo e la cultura. Saprà continuare ad attrarre per le sue spiagge e per i suoi monti ma investirà ancora di più sulle sue città organizzando grandi eventi culturali in grado di attirare un pubblico vastissimo e non solo un pubblico d’élite. Come a Ferrara, come a Brescia, come a Treviso, così anche nelle nostre bellissime città arriveranno le mostre dei Matisse, dei Van Gogh e di tutti i grandi pittori. E a fianco a tutto questo il Friuli Doc, la festa di San Daniele, la Barcolana. Tutto quello che ricorda la nostra tradizione popolare, le nostre origini e il nostro modo di essere. Senza alcun senso d’inferiorità per chi crede che filosofia, arte moderna e multiculturalismo debbano per forza essere superiori ma con l’orgoglio di sentirsi un Popolo.
Ma il Friuli – Venezia Giulia non potrà essere solo tradizione. La nostra Regione dovrà preservare il Friulano e insegnarlo ai nostri figli, ma dovrà anche guardare al futuro, investire di più negli scambi interculturali tra studenti, favorire e agevolare lo studio delle lingue straniere, rafforzare ad ogni costo il ruolo delle sue Università, garantire a tutte le aziende la possibilità di accedere a internet ad alta velocità. E penserà all’ambiente, magari ricoprendo di panelli solari la maggior parte degli edifici pubblici ma senza fermarsi di fronte alla possibilità di avere una ferrovia ad alta velocità, un’autostrada più grande, un rigassificatore a garantirle più gas e più efficienza.
La Regione che vogliamo avrà una politica nuova, un uomo nuovo.
Un nuovo corso.

venerdì 21 settembre 2007

Antipolitica o antipolitici?

di Luca Galvanini

In seguito alla pubblicazione del libro "La casta" di Stella e Rizzo, che ha venduto oltre un milione di copie, e al V-Day organizzato da Beppe Grillo, che ha raccolto oltre trecento mila firme per la proposta di legge popolare, in Italia si è nuovamente aperto il vaso di Pandora. Ad ascoltare molti commenti dei nostri politici sembra proprio che Grillo abbia scoperchiato il vaso e abbia così scatenato un'ondata di qualunquismo se non, addirittura, di fascismo. Il direttore del Tg2 Mauro Mazza, proprio ieri, ha lanciato l'allarme per il rischio di attentati. Non per i toni minacciosi del Senatùr che incita a "tirare fuori i fucili", ma sempre per colpa del comico genovese.
In questo clima di fermento popolare bipartisan, i politici si stanno interrogando sul come interpretare la rabbia della gente che non si sente più rappresentata da una politica inefficace e lontana dai cittadini. Invece di prendersela con i comici o con i giornalisti che "indicano la Luna", perchè i nostri rappresentanti non cominciano a pensare che non si tratta di un odio generalizzato verso la politica, ma di un'insofferenza specifica per la situazione che stiamo vivendo?
Rimaniamo in attesa di ulteriori sviluppi in merito...

lunedì 10 settembre 2007

La legge elettorale

In queste settimane sta continuando il dibattito sulla legge elettorale. Pubblichiamo, di seguito, l'edtoriale di Giovanni Sartori sull'argomento (apparso sul Corriere della Sera del 6 settembre 2007).
I poli e la legge elettorale
Il dialogo non fa miracoli
Basta parlarsi e tutto si risolve? Vediamo in concreto. Per mesi e mesi i nostri grandi capi (Berlusconi e Fini da un lato e i loro equivalenti di sinistra dall'altro) hanno parlato della riforma elettorale senza parlarsi, gorgheggiando da soli. Ma qualche giorno fa, agli Incontri di Cortina, Fassino e Fini si sono incontrati faccia a faccia. Alleluia, alleluia, habemus dialogum. Volete sapere come è andata? Ecco qua.

Sul punto (riforma elettorale) Fassino propone il sistema tedesco. Fini risponde che quel modello non è accettabile perché non prevede la «condizione irrinunciabile» della dichiarazione preventiva, prima dell'elezione, delle alleanze di governo. Fassino, forse sentendosi in dovere di dialogare, accondiscende senza difficoltà: «Allora mettiamo un vincolo, integriamo (il sistema tedesco) con una clausola che prevede l'obbligatorietà di dichiararle». Al che Fini può facilmente ribattere: «Ma allora non è più il modello tedesco». Uno a zero? Si, ma no. Perché entrambi hanno, in premessa, torto marcio: Fini nel chiedere quel che chiede, e Fassino nel concederlo alla leggera come se si trattasse di una inezia.

I sistemi elettorali, così come i sistemi costituzionali, sono «sistemi» le cui parti debbono funzionare in sintonia, l'una ingranata nell'altra. Insomma, sono un po' come orologi. Mettiamo che il mio orologio richieda dieci rotelle; in tal caso non può funzionare né con nove né con undici. Così Fini sbaglia perché chiede una rotella di troppo, e Fassino sbaglia perché gliela concede senza rendersi conto del problema.

La contromossa di Fassino poteva essere di porre due domande: primo, quali sono al mondo gli altri sistemi parlamentari che richiedono quel che Fini richiede e, secondo, perché non lo richiedono. Alla prima domanda Fini non avrebbe saputo rispondere, visto che non ci sono; e alla seconda avrebbe probabilmente risposto che noi siamo i primi della classe all'avanguardia degli altri. Purtroppo no: la risposta corretta è che noi siamo, in materia costituzionale, i più somari di tutti. Difatti né Fini né Fassino danno mostra di sapere cosa sia un sistema parlamentare, il sistema prescritto dalla nostra costituzione e ribadito da un recente referendum.

Un sistema parlamentare si chiama così perché è fondato sul principio della sovranità del parlamento. Il che implica che in questo sistema l'elettorato sceglie i rappresentanti e poi gli eletti scelgono, in parlamento, le soluzioni di governo consentite dalle elezioni. Questa non è una minore democrazia — come l'imbottimento dei crani degli ultimi anni ci ha messo in testa — ma invece il pregio del sistema parlamentare: di essere un sistema flessibile e capace di auto-correzione. All'inverso, la predesignazione delle coalizioni di governo pone in essere un sistema rigido, bloccato, che per di più dimezza la libertà di scelta dell'elettore imponendogli le coalizioni di governo scelte per lui (oggi come oggi) da Prodi o da Berlusconi. Infine, se in un sistema fondato sulla sovranità parlamentare questa sovranità viene radicalmente esautorata, come può sfuggire che la predesignazione in questione sarebbe incostituzionale?

Eppure sfugge, la domanda è retorica. Proprio l'altro ieri il seguito è che Berlusconi, Fini e Bossi si sono riuniti per ribadire che la condizione irrinunciabile della predesignazione è davvero irrinunciabile.


A cosa servono, allora, i dialoghi? Nell'esempio a fare più male che bene. Anche se i dialoganti sono in buona fede (un caso abbastanza raro) basta che siano incompetenti per avallare soluzioni intrinsecamente stupide e legalmente incostituzionali. La «dialogomania» non è una corte dei miracoli.

giovedì 6 settembre 2007

I giovani e l'Italia

di Gabriele Borioni
In una recente intervista a tutto campo il Ministro degli Esteri Massimo D’Alema ha dichiarato di ritenere la politica e l’economia italiane zone “off limits” per i giovani invitandoci a “farci avanti e combattere per il nostro futuro” proprio come hanno fatto loro (“nel bene e nel male” ha specificato dopo) nel lontano ’68.
Abbiamo davvero bisogno di questo? La nostra società è molto diversa da quella del ‘68; in 40 anni sono state fatte molte riforme e nuove conquiste hanno cambiato radicalmente il mondo in cui viviamo. Purtroppo, però, siamo anche testimoni di tutto quello che persone come il Ministro D’Alema sembrano essersi dimenticate. I giovani d’oggi hanno lo stesso dinamismo, la stessa forza, la stessa voglia di partecipare che c’era in quegli anni.
In politica, però, c’è la stessa difficoltà a introdurre nuove leve e ad accettare il rinnovamento che c’era allora. E’ triste pensare che per combattere questo immobilismo si debba tornare ad alzare la voce o a ridar vita alle conflittualità sociali che hanno caratterizzato gli Anni di Piombo e il ’68. Nel 2007, in una società che ha saputo fare esperienza di periodi come quelli, lo scontro può essere sostituito dal confronto e la politica dovrebbe cominciare a porsi autonomamente il problema del rinnovamento generazionale delle classi dirigenti.
Non tutti, comunque, si limitano alle dichiarazioni ma c’è anche chi lavora su proposte concrete. Una proposta di legge interessante, ad esempio, viene dall’On. Silvana Mura dell’Italia dei Valori. Dopo essersi accorta che alla Camera solo un deputato su 630 ha meno di 30 anni e solo il 16% dei nostri deputati ha tra i 30 e i 50 anni, la deputata ha aperto il dibattito concentrandosi su 3 punti:
- limite d’età a 70 anni per qualsiasi carica elettorale;
- abbassamento del limite d’età per essere eletti alla Camera e al Senato (da 25 anni a 18 nel primo caso, da 40 a 30 nel secondo);
- limite di due mandati consecutivi per la rielezione alla stessa carica.
Una proposta più o meno condivisibile su cui, però, potrebbe aprirsi un primo dibattito molto interessante. I giovani rimarranno sempre una risorsa fondamentale per qualsiasi società, una speranza e un investimento su cui bisognerà scommettere sempre di più. La nostra generazione ha la motivazione e la voglia di partecipare necessarie per cercare di vincere questa scommessa.