martedì 27 maggio 2008

Il mio punto di vista

Il Corriere della Sera di ieri riportava un editoriale di Angelo Panebianco che, a mio parere, è completamente condivisibile.... Fabrizio
SE LO STATO FALLISCE
di Angelo Panebianco
Che cos’hanno in comune i due temi caldi di questi giorni, il braccio di ferro fra il governo e le comunità locali campane sulle discariche e il dibattito sulla necessità o meno di introdurre il reato di clandestinità? Pur essendo questioni diversissime esse condividono il fatto di sollecitare risposte a una domanda decisiva: quale «livello di statualità », quale grado di controllo territoriale da parte dello Stato, riteniamo compatibile con la forma di governo democratica? In linea di principio, le democrazie possono distinguersi fra loro per il fatto di essere associate a Stati «forti» (effettivo monopolio della forza, effettivo controllo sul territorio) oppure a Stati «deboli». Nella realtà, naturalmente, è sempre una questione di grado: non esistono Stati così forti da esercitare un controllo totale sul territorio (caso francese: rivolta della banlieue) e, inoltre, esistono, sul versante opposto, vari gradi possibili di debolezza dello Stato. E' però un fatto che quando la debolezza supera una certa soglia lo Stato debole si trasforma in uno «Stato fallito». Se mai quella soglia venisse superata in un Paese occidentale anche la democrazia (che non può vivere in assenza di Stato) vi morirebbe immediatamente. La democrazia italiana ha sempre convissuto con uno Stato relativamente debole. Non foss'altro per la sua incapacità di stabilire un effettivo monopolio della forza nei territori storicamente controllati dalla criminalità organizzata. La novità di questi anni è l’esplosiva miscela fatta di cambiamenti culturali (ampie fasce di cittadini sempre meno disponibili ad accettare il comando statale), inefficiente funzionamento della macchina amministrativa (apparati repressivi inclusi) e trasformazioni sociali (l'immigrazione ne è un aspetto). Tutto ciò ha ulteriormente indebolito il «grado di statualità», in termini di controllo delle risorse coercitive, della forza e di controllo territoriale, avvicinando così il Paese pericolosamente a quella zona rossa superata la quale ci sono solo lo «Stato fallito» e la conseguente anarchia. Poiché abbiamo una tradizione di Stato debole molti credono che l'ulteriore indebolimento che esso ha subito in questi anni (testimoniato, ad esempio, dai continui successi ottenuti fino a oggi dalle comunità locali in rivolta contro decisioni governative in materia di opere di pubblica utilità) non comprometterebbe la democrazia. Sbagliano clamorosamente. Una democrazia si differenzia da un regime autoritario perché distingue in modo sufficientemente chiaro, sulla base di leggi e procedure codificate, ciò che è negoziabile e ciò che non lo è. E ciò che non è negoziabile (le decisioni assunte da organi democraticamente eletti) viene imposto. Anche con la forza, quando occorre. A patto naturalmente che lo Stato non sia ridotto a una finzione, non sia diventato così debole da non poterselo più permettere. Chi plaude come «democratica» la rivolta antidiscariche, forse non lo sa ma il «modello di Stato» che sta proponendo a tutti noi è il Libano. Anche la discussione sul reato di clandestinità ha molto a che fare con il livello di statualità ritenuto accettabile, opportuno, nonché compatibile con la democrazia. Il reato di clandestinità, com’è noto, è vigente in altre democrazie occidentali. Da noi alcuni vi si oppongono solo per ragioni pragmatiche: sono quelli che dicono che a causa dell’inefficienza del nostro sistema giudiziario, l'introduzione di questo reato renderebbe impossibile espellere i clandestini. Forse hanno ragione. Però costoro hanno anche il dovere di proporre misure per ridurre quell'inefficienza (magari anche a costo di far strillare un po' l'Associazione nazionale magistrati e altre strutture sindacali). A occhio, però, direi che i «pragmatici » non sono in maggioranza fra coloro che si oppongono al reato di clandestinità. La maggioranza mi pare composta da quelli che difendono l'attuale basso livello di statualità, che vogliono che i confini nazionali restino porosi non solo di fatto ma anche di diritto. Sono persone (fra esse ci sono anche alcuni uomini di Chiesa) che ritengono un maggior controllo statale sul territorio incompatibile con la democrazia. La storia, le tradizioni, pesano. Poiché la nostra è una tradizione di Stato debole molti pensano che solo uno Stato debole possa sposarsi con la democrazia. Costoro temono eventuali rafforzamenti del livello di statualità perché li interpretano tout court come manifestazioni di tendenze autoritarie in atto. Per la stessa ragione, essi ignorano o sottovalutano i segnali, accumulatisi negli ultimi anni, di «cedimento strutturale» del nostro sistema statuale. Talvolta, un eccesso di statualità può effettivamente innescare tendenze autoritarie e uccidere la democrazia. L'anarchia, però, è sempre in grado di produrre lo stesso risultato.

mercoledì 14 maggio 2008

Cambio di marcia

di Fabrizio Anzolini
Riportiamo, di seguito, alcune parti del discorso pronunciato ieri dal Presidente del Consiglio Berlusconi alla Camera dei Deputati.
Come potrete leggere la nuova legislatura inizia con un discorso diverso dal solito, molto concreto nell’elencazione delle priorità dell’azione di Governo e aperto alla collaborazione con un’opposizione costruttiva e propositiva, un'opposizione riconosciuta parte attiva nella semplificazione del sistema partitico italiano.
Qualcosa è cambiato (basti pensare al rapporto cordiale che stanno cercando di costruire in questi giorni il leader del Pdl e Veltroni) e, a mio parere, è cambiato in meglio.
Questo discorso ne è la dimstrazione.
“Signor Presidente Onorevoli colleghi Il lavoro che ci aspetta per ridare fiducia e slancio all’Italia richiede ottimismo e spirito di missione. Gli elettori hanno raccolto e premiato il nostro comune appello a rendere più chiaro, più efficiente e controllabile il governo del Paese. Hanno ridotto drasticamente la frammentazione politica e hanno scelto con nettezza una maggioranza di governo e una opposizione, ciascuna con le proprie idee e passioni, ciascuna con la propria leadership. Il voto è stato un messaggio univoco alla classe dirigente, è stato la prima grande riforma di tante altre che sono necessarie”.
“Dividetevi, hanno detto i cittadini, ma non ostacolatevi slealmente”.
Fate uno sforzo comune perché chi governa e chi esercita il controllo parlamentare sul governo possano fare, ciascuno nel suo ambito, il proprio mestiere. Fate funzionare le istituzioni della Repubblica, ci hanno ordinato gli elettori, riducete l’area della vanità e della cosiddetta visibilità della politica dei partiti, realizzate quanto avete promesso di realizzare, e realizzatelo in fretta. Perché una cosa è sicura: l’Italia non ha più tempo da perdere”.
“Nella società italiana è maturata una nuova consapevolezza, dopo anni difficili e per certi aspetti tormentati. Si respira un nuovo clima, che si esprime nella nuova composizione delle Camere chiamate oggi a discutere della fiducia al governo. La parte maggiore dell’opposizione ha creato un suo strumento di osservazione e di interlocuzione con il governo: il gabinetto ombra di tradizione anglosassone, che può essere d’aiuto nel fissare i termini della discussione, del dissenso e delle eventuali convergenze parlamentari, in particolare sulle urgenti e ben note modifiche da apportare al funzionamento del sistema politico e costituzionale”.
“Noi faremo la parte che un forte consenso democratico ci ha assegnato. Non abbiamo promesso miracoli, ma intendiamo realizzare piccole e grandi cose”.
Punto primo. Lo scandalo dei rifiuti non smaltiti deve finire e finirà”.
Punto secondo. La casa è un bene primario (…) e la tassazione sulla prima casa va definitivamente cancellata”.
Punto terzo. (…) chi si impegna a lavorare di più e a contribuire alla competitività delle imprese va incoraggiato con una sensibile detassazione dei suoi guadagni”.
Punto quarto. La sicurezza della vita quotidiana deve essere pienamente ristabilita con norme di diritto e comportamenti preventivi e repressivi delle forze dell’ordine che siano in grado di riaffermare la sovranità della legge sul territorio dello Stato”. “Questo Paese deve rialzarsi, nel senso che ha tutte le potenzialità per rimettersi rapidamente in corsa e per tagliare il traguardo decisivo di un nuovo tempo della Repubblica: il tempo della crescita”.
“Il problema principale del nostro Paese è di ricominciare a crescere dopo una lunga fase, e deludente, di riduzione delle prestazioni del nostro sistema economico e sociale. La crescita non è solo un parametro economico, è un metro di misura del progresso civile di una nazione. Crescere non significa soltanto produrre più ricchezza e mettersi in condizione di redistribuirla meglio attraverso quel circolo virtuoso di responsabilità e di libertà che un mercato ben regolato può garantire”.
Crescere significa anche rilanciare il Paese e i suoi talenti(...)”.
“Crescere vuol dire ascoltare il grido di dolore che si leva dal nord e dai suoi standard europei di lavoro e di produzione, vuol dire incentivare forme di autogoverno federalista indispensabili a un’evoluzione unitaria della Repubblica, a partire dal federalismo fiscale solidale”.
“Crescere significa promuovere il sud del Paese considerandolo come una formidabile risorsa per lo sviluppo (…)”.
“Crescere significa rinnovare il paesaggio delle nostre infrastrutture (…)”.
“Crescere significa promuovere la famiglia come nucleo di spinta dell’intera organizzazione sociale, significa dare alle donne nel lavoro e negli altri ruoli sociali, un sostegno per la loro autonomia, significa rimuovere le cause materiali dell’aborto e varare un grande piano nazionale per la vita (…)”.
“Crescere vuol dire esportare le nostre capacità, salvaguardare il posto delle nostre imprese nei mercati (…)”.
“Crescere vuol dire rivalutare il lavoro, renderlo più sicuro e qualificato (…)”.
“Crescere vuol dire contrastare la rassegnazione ad alcune forme di precariato particolarmente instabili e penalizzanti (…)”.
Dobbiamo tenere i conti in ordine, ridurre il peso del debito pubblico in proporzione al fatturato del Paese. Dobbiamo accrescere la volontà e la capacità di contrastare l’evasione fiscale, ristabilendo però il principio liberale secondo il quale le tasse non sono “belle in sé” e neppure un tributo moralistico al potere indiscusso dello Stato. Le imposte sono il corrispettivo che i cittadini devono allo Stato per i servizi che ricevono e sono quindi il presupposto e la garanzia del buon funzionamento dei servizi pubblici e la tutela di un equilibrio sociale responsabile, mai punitivo verso chi produce la ricchezza da ridistribuire con equità”.
“Dobbiamo contrastare il calo di competitività del sistema economico (…)”.
“Dobbiamo colpire i corporativismi e le chiusure difensive che in passato hanno tutelato soltanto i bisogni castali di un sistema assistenziale e dirigista che non ha fiducia nella libertà e nell’autonomia della società”.
“La crescita della prosperità e del ruolo dell’Italia in Europa e nel mondo, nel segno della responsabilità occidentale e della ricerca di vie credibili alla pace, saranno la bussola della nostra politica come Paese fondatore del progetto europeo, come grande nazione mediterranea naturalmente chiamata alla cooperazione tra le due sponde del nostro mare, e come pilastro dell’amicizia tra Europa e Stati Uniti d’America”.